La morte dell'arte
è un saggio che esamina i problemi del fare artistico contemporaneo.
Il filosofo Scevola si concentra sulla degenerazione
del gusto contemporaneo, su quella che è a suo avviso "arte psicologica", che
tocca la pancia ma non lo spirito. Un'arte che risponde a bisogni fisiologici
più che spirituali. Si critica un panorama artistico dove l'artista è
personaggio, diviene un guru innalzato dalle masse come idolo pagano. La
tecnica ci ha convinto che tutti noi possiamo essere artisti. La profanazione
del sacro nell'arte è accettazione di quell'inferno che Sartre vedeva
nell'altro. Una società di singoli individui che competono con il prossimo, che
hanno smarrito l'umanità, non può che condizionare ciò che è arte oggi.
Si allestisce così una critica al consumismo. Al
riduzionismo dell'arte a prodotto di consumo. L'arte non è per chiunque,
sebbene, potenzialmente, parla del tutto.
Come affrontare questo panorama pop? Quale il dovere
dell'artista? Che cos'è arte? Questi i tre quesiti a cui si cerca di dare una
risposta esaustiva nell'opera.