La vista
di Tiresia raccoglie un poema post-moderno decadentista, una sezione di prosa
poetica epistolare e un trattato filosofico che costituisce il corpus
dell'opera (Ennoiónologia computazionale dei sensi oriundi normativi).
Il fine dell'opera è proporre al lettore un ripensamento in chiave spirituale
del Cristianesimo e della perversione dei poeti maledetti.
Marco Scevola indaga i suoi sentimenti carnali al fine di accedere alla
trascendenza, attraverso la demistificazione dei valori morali raggiungerà una
"cecità vivida" propriamente cinica, un disprezzo nei raffronti della
corporeità che è adito al sovrasensibile. Il relativismo soggettivista, per
converso, concerne una irrisoria libertà implicata dall'emancipazione, ossia
dissacrazione dell'etica metafisico-neoplatonica dogmatica ora decaduta.
Il
misticismo e l'intento filosofico di fondare un'etica naturalizzata nell'anima
umana muovono la penna dello scrittore, che nell'attribuzione valoriale ravvisa
l'oggettivo sicché universalmente condiviso ergo verificabile da ciascun uomo.
Il telos
che instrada la dissertazione filosofica esistenziale, estetica e morale non è
costruire una prassi etica, bensì delineare la fattibilità di una replica
anti-nichilista successiva al nietzschianesimo.