Luce e
guerra è un poema destrutturato che decanta con lirismo altalenante la
condizione ambivalente, di prediletto e di dannato, del poeta maledetto.
Per mezzo
di versi liberi e rimati l'itinerario introspettivo culminerò sull'erta del
virtuosismo del Ventunesimo secolo, ovverosia, del fenomeno mediatico, del
fenomeno da baraccano idolatrato dalle masse lobotomizzate.
Lo stigma
della pazzia ha martirizzato da sempre l'esistere del poeta maledetto Esposito
Romano, tantoché arrivò ad aberrare la follia, benché essa fosse assai più
divina della ragione sicché motore della sua creatività artistica.
Il poema
viene scandito da quattro atti scenicamente disposti
dall'autore-regista-commediografo: Uovo, dilucolo o cecità, Bruco,
albore o abbaglio, Crisalide, meriggio o stagno umbratile, Farfalla,
vespro o alba.
Ciascun
capitolo rispecchia l'evolversi dell'infatuazione verso il disinganno, il poeta
che cova la propria follia per farne operato divino, consacrandosi
all'Assoluto.